"NON SOLO TRASH TALKING " di Simone Caruso

Nella foto di accompagnamento a questo post, ho deciso di presentare una significativa immagine di Genki Sudo che mostra rispetto al suo avversario sconfitto alla fine dell’incontro.
Il lottatore giapponese era famoso per dare spettacolo con abiti stravaganti e coreografie pregiatissime con cui accompagnava il suo ingresso al match.
Ed era amatissimo dal pubblico.
Ci sono tanti modi di attirare l’attenzione della gente, non solo la spavalderia ed il linguaggio scurrile, anche l’arte e l’ironia potrebbero giocare un ruolo fondamentale senza creare problemi di etica.
Nelle ore successive al match tra Khabib e Conor , tanto atteso dagli appassionati di MMA, sport da combattimento e/o semplicemente da migliaia di spettatori curiosi, se ne sono sentite troppe su questo tema.
Tante persone che non si sono mai avvicinate agli sport da combattimento, hanno conosciuto per la prima volta questo mondo attraverso la grande cassa di risonanza che è stata data alle risse avvenute prima, durante e dopo questo evento.
Molti sono gli interrogativi che tutta la vicenda lascia in sospeso.
Quali sono i limiti dello show?
Quando il trash talking diventa istigazione alla violenza per i giovani?
Non è un tema recente.
Negli anni passati, tanti altri grandi sportivi, del mondo della boxe e non solo, hanno fatto della provocazione il loro marchio di fabbrica per accrescere la propria popolarità e come tattica per demolire psicologicamente l’avversario.
Grandi comunicatori, come il sommo Muhammad Alì, erano capaci di attirare centinaia di migliaia di spettatori con il loro piglio istrionico e irrisorio e la loro “faccia da schiaffi” davanti alle telecamere.
Nessuno però ha giustamente mai messo in dubbio la loro condotta.
E allora quando si superano i limiti del consentito?
Innanzitutto quando si viola la legge, quando si aggredisce, si insulta, si diffama e si fa violenza al di fuori dei limiti giuridici e delle regole etiche e morali del “quadrato”, oltre la campanella che segna l’inizio e la fine delle ostilità ammesse.
Mi sembra un’ottima base, partiamo da questo, dal non parlare e speculare più su ciò che accade contro la legge e contro l’etica.
La violenza può avvenire e purtroppo avviene anche al di fuori dello sport, non possiamo fermarla , ma possiamo evitare di fare da cassa di risonanza.
I promotori e gli organizzatori in primis ma anche chi scrive, comunica e condivide, a vario titolo, sui media e sui social, facciano attenzione a questo.
Gli sport da combattimento devono servire a togliere i ragazzi dalla strada e a portarli sul ring, non a far diventare lo sport il palcoscenico pubblico della violenza sregolata e vigliacca.
Il “quadrato” è luogo sacro, dove la violenza si ripulisce della sua negatività e diventa confronto leale, nobile e sincero tra due corpi e due volontà.
Diamo, noi tutti, visibilità e precedenza a chi è in grado di veicolare questo tipo di messaggio.

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